The Donald è un caso di comunicazione politica: in questo articolo approfondiamo le sue strategie per la campagna elettorale, in special modo sui Social Network.
La sua irriverenza è stata ed è ancora al centro dell’attenzione mediatica: non a caso è stato il candidato più googlato. Può non piacere come uomo o come politico, ma di certo ha vinto con i like, cavalcando alla grande gli strumenti di comunicazione a sua disposizione.
Si sa che per vincere è necessaria una comunicazione politica efficace e un uso mirato e sistematico degli strumenti digital per sfruttare le potenzialità del web: non a caso il profilo Instagram di Trump è curato costantemente, anche con più contenuti al giorno. Doccia fredda per la candidata Clinton, che ha pagato a spese sue e dei suoi numerosi e generosi finanziatori, i cattivi, seppur immani, investimenti nei social media per la campagna elettorale. Ha puntato sullo staff attraverso i mezzi tradizionali, più costosi ma meno appetibili rispetto alle nuove frontiere digitali. Questo, invece, il campo di battaglia del valido enturage di social guys dal cappellino rosso, guidati dal ventinovenne Justin Mc Conney: figlio di un vecchio collaboratore di Trump, cinque anni fa non a caso convinse il neo-presidente USA della necessità di investire sui social, in quanto sono gli strumenti di comunicazione più democratici e meno costosi.
Ma i soldi a Donald Trump non mancano, tanto che ha promosso una campagna milionaria su Snapchat, puntando ai consensi dei millennials: l’annuncio del dibattito è il primo filtro a livello nazionale lanciato da una campagna politica. Ma in America questa generazione incompresa rigetta la politica tradizionale, sia democratica sia repubblicana, dichiarandosi indipendente, radicalmente realista e delusa.
In fondo si sa: i giovani, nella società come in politica, sono difficili, complicati, ma pieni di spirito. Questo il presupposto del Tycoon per il suo approccio ai social, nell’idea di una grande strategia di comunicazione dove si sono sperimentate tecniche di persuasione, psicologia e sociologia. La sua capacità di manovrare e gestire i social lo ha lasciato intoccato anche dalle conseguenze di clamorosi autogol pubblici.
I risultati parlano chiaro: Trump ha vinto in ogni stato in cui aveva focalizzato la campagna elettorale. Non è stato difficile attirare i riflettori su di se. La sua ironia anti-sistema è unica nel suo genere, non ha termini di paragone o rivali: è assolutamente autentico nella sua schiettezza politically uncorrect. Proprio attraverso lo schermo nello schermo acquisisce un alto livello di credibilità: gli utenti si fidelizzano e lui massimizza la visibilità dei suoi contenuti. Trump è uno show-man a tutti gli effetti. Detta l’agenda politica e i suoi avversari sono costretti a parlare di lui più che dei propri programmi: Donald trump non è mai incommentabile. Presente su ogni canale, genera appeal e curiosità: dice sempre qualcosa di diverso, insolito, inaspettato. Domina i media facendo parlare costantemente di sè, attraverso le critiche all’assetto politico tradizionale.
Milioni di fan e followers sui social sono sempre ansiosi di vedere la sua prossima mossa. D’altronde è il suo unico obbiettivo è alimentare la sua popolarità attraverso la notiziabilità: “Nel bene o nel male, l’importante è che se ne parli”.
Il dibattito tv dei record (seguito da più di 100 milioni di persone) secondo il sondaggio CNN, è stato vinto dalla Clinton, ma il più menzionato su Twitter è stato Trump. Così, con lo sguardo deciso, fisso in camera, fa della sua persona un vero e proprio brand vendendosi attraverso il modo di parlare, il modo di agire ma anche nel vestire: indossa l’abito usato per l’ufficializzazione della candidatura anche in tutte le successive apparizioni pubbliche; inoltre, non a caso, ricorda i colori della bandiera americana. Tutto di lui trasuda “America”. Attua il processo di identificazione insistendo sulle incertezze del popolo americano, puntando al suo coinvolgimento emozionale. Spudorato, esprime ciò in cui crede anche se non sempre è condivisibile: manifesta ciò che gli altri non hanno il coraggio di dire, ma che allo stesso tempo sono gli argomenti più amati dal pubblico. Insiste su pochi temi chiari, focalizzati in modo semplice, reiterando termini quasi banali, chiari, univoci, facilmente fruibili e condivisibili. Soprattutto personali. Il linguaggio è schietto, aggressivo, rude, e su questo stile riporta ogni discussione politica, riformulandola secondo i canoni verbali che preferisce. Sono proprio i suoi termini “coloriti” a conquistare le piattaforme di networking senza filtri.
Scrive tanto e in prima persona: i suoi 34 000 tweet sono immediati al fatto che raccontano, in modo che gli utenti vivano la campagna elettorale in tempo reale. È un dialogo continuo con la piazza: su Twitter non mancano conversazioni con influencer di settore e giornalisti, su Instagram si pubblicano i sondaggi e gli annessi ringraziamenti agli elettori, su Facebook, attraverso l’uso del maiuscolo, si imita un messaggio urlato in un contesto di public speaking, per dare alla propria comunicazione politica un alto livello di naturalezza.
Trump è un fenomeno comunicativo vincente e le sue modalità rendono meno virtuale la realtà del web, in un contatto continuo con l’elettorato, senza perdere l’essenza della sua personalità, anzi sbattendola in faccia a tutti. Nel bene o nel male lascia il segno e persuade i suoi repubblicani.
Le elezioni sono state perse dalla Clinton perchè non è riuscita a portare i propri elettori ai seggi, ma anche perchè la sua comunicazione politica non ha conquistato l’elettore “meno convinto”, “meno sicuro”, quello che poi pensa: “Trump? Sicuramente non l’Altra”.
Alessandra Bartali
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